By: Bullfin on Sabato 09 Luglio 2016 15:55
Bellissimo articolo per Anti e soci... accetto solo valutazioni sensate e senza arrampicarsi sugli specchi...grazie...
http://corrierealpi.gelocal.it/focus/2016/07/09/news/banche-italia-piena-di-sofferenze-il-nord-europa-zeppo-di-derivati-1.13792062?ref=hfcablbxt-1
Se il fondo Atlante sarà rafforzato con altri 3 miliardi di risorse fresche che si andranno ad aggiungere agli 1,75 miliardi residui, post salvataggio Bpvi e Veneto banca, potrebbe avere una capacità di acquisto teorica di Npl fino a 20-50 miliardi di euro con la leva fornita dei Gacs, ovvero le garanzie per la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza. Lo scrive Jp Morgan in un report dedicato alle banche italiane.
In testa c'è Mps con 10 miliardi di deteriorati che Monte dei Paschi deve cedere dopo la richiesta delle Bce di portare il rapporto Npl sul totale crediti al 20%.
Il sistema bancario europeo evidenzia sempre sorprese. Ma questa volta le cattive notizie non vengono dalle banche italiane o da quelle dei paesi periferici ma dai grandi istituti del Nord Europa. Oggi la proporzione segna 34,8% se si guarda al dato Npl lordo: 47 miliardi su 136,3. Mps è in cima alla classifica delle banche con più sofferenze. segue la Popolare di Vicenza: 31,6% i deteriorati lordi sono 9 miliardi su 29,2 complessivi. Poi c'è Veneto Banca: qui la quota di Npl lordo è del 29%: 7 miliardi sui 25,7 complessivi. Al quarto posto c'è Carige: la banca genovese ha 7 miliardi di Npl lordi: parliamo di una quota del 28,5%. In quinta posizione il banco popolare: 25 miliardi di Npl su 89,7, la quota in questo caso è del 27,9%. La banca con meno sofferenze è Intesa San Paolo: la quota è pari al 16,5%: 63 miliardi su un totale di 382,3 miliardi.
Oggi l'ufficio studi Cgia, che ha analizzato gli ultimi dati forniti dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) relativi a marzo del 2016, evidenzia che le banche finlandesi, del Regno Unito e della Germania però hanno in pancia più del 20% del loro attivo in derivati, in Italia questa quota è di appena il 5,3%, ovvero meno della metà rispetto alla media dell’Unione Europea (12,9%).
I derivati sono strumenti finanziari complessi il cui valore dipende dall’andamento di altre variabili, le cosiddette variabili sottostanti (prezzi di materie prime o di attività finanziarie ecc.). Questi strumenti finanziari derivati vengono utilizzati per proteggersi da scostamenti non voluti dei prezzi di mercato (si pensi al prezzo del petrolio o ai tassi di cambio tra valute), per fini speculativi cioè orientati a realizzare profitti scommettendo sull’evoluzione del prezzo dell’attività sottostante o per sfruttare differenze tra l’andamento del prezzo del derivato e di quello ell’attività sottostante.
“Non sono prodotti esenti da rischi e con l’avvento del nuovo millennio – puntualizza il coordinatore dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre - le banche europee hanno sperimentato, a vari gradi, l’adozione di questi strumenti sia per gestire i rischi che con l’intento di generare ricavi extra-creditizi. Non è da escludere che i derivati possano rappresentare un rischio sistemico, specie in questa fase di turbolenza dei mercati finanziari; non è forse un caso che nel corso dell’ultimo anno le banche stesse hanno cercato di ridurre l’incidenza di questi prodotti nei loro bilanci”.
Sulla base del totale attivo delle banche italiane (pari a 2.323 miliardi di euro) e di quelle tedesche (4.060 miliardi di euro) investigate dall’EBA è possibile stimare come l’ammontare dei derivati in capo alle banche italiane sia di almeno 123 miliardi di euro mentre per quelle tedesche di almeno 813 miliardi di euro.
Guardando alla composizione dell’attivo di banche tedesche ed italiane è significativo verificare come l’elevata quota di derivati in capo alle banche tedesche sia andato a scapito del credito. Se, infatti, l’incidenza dei prestiti bancari tedeschi è comunque superiore alla metà del totale bilancio (56,2%) è del tutto evidente come questa quota sia molto più bassa della media per l’Unione Europea (64,3%) e dell’Italia (67,8%).
Si comprendono così alcune preoccupazioni circa l’andamento delle banche tedesche, ritenute potenzialmente vulnerabili anche secondo l’analisi del Fondo Monetario Internazionale che evidenzia i loro problemi di redditività e di gestione.
La Cgia fa notare che gli ultimi risultati dell’Eba indicano come la redditività delle banche tedesche sia nettamente più bassa della media europea. Il Roe, indicatore che misura il rapporto tra l’utile e il patrimonio netto, si è attestato ad appena il 2,6%, meno della metà di quello europeo, pari al 5,8%, e più basso di quello italiano che ha toccato il 3,3%.
E se le banche tedesche possono contare su un livello di crediti deteriorati che è basso (a marzo 2016, il 3,1% sul totale dei crediti lordi contro il 16,6% del caso Italia), questo risultato è quasi interamente dovuto all’intervento statale sui crediti deteriorati (Npl) avvenuto già nelle prime fasi della crisi finanziaria (2009-2010).
Tra l’altro il tasso di copertura dei Npl rimasti in capo alle banche tedesche (37,3%), ovvero la capacità di coprire le eventuali perdite con risorse già accantonate è inferiore sia alla media europea (43,8%) sia alla media italiana (45,8%).
FULTRA 10 MARZO 2020: Qui sotto la fotocopia dal vero "cialtrone medio italico" : Antitrader. Fatene una copia del pensiero per i posteri e quando tra 50 anni vorranno capire perchè l' talia sia finita miseramente