By: giorgiofra on Giovedì 24 Gennaio 2013 10:33
Quando, per motivi di lavoro, frequentavo Venezia, era normale, una volta arrivati al parcheggio di piazzale Roma, sentirsi dire che non c'era posto. Ma bastava tirare fuori una diecimila lire perchè il posto venisse fuori. All'inizio rimasi stupefatto, pensando che certe abitudini fossero tipiche dei Napoletani.
Queste pratiche decisamente levantine si ripetevano in più circostanze, come quando i vari tassisti invitavano i clienti ad un giro turistico che prometteva lunghi ed affascinanti percorsi, che invece si riducevano a scaricare i clienti direttamente a Murano, dove i titolari delle fornaci provvedevano a passare piccole "mazzette" ai loro complici.
O ancora nelle varie botteghe che vendevano maschere o vetri autenticamente veneziani che, in realtà, erano fabbricati in Cina.
Queste piccole e, se vogliamo, innocenti truffe, erano praticate normalmente, e nascevano probabilmente dalla necessità di sopravvivere in una città che aveva da lungo tempo perso i propri splendori, divenendo anche molto costosa. L'unica vera differenza con i napoletani è che i veneziani non avevano lo stesso garbo e lo stesso calore, cose che in qualche modo attutiscono il dispiacere di essere raggirati.
Un'altra sensazione che percepivo girovagando nella città era che si trattasse di una città di mantenuti, nel senso che si sosteneva con l'impiego pubblico, il turismo, e l'industria di Marghera che era sostanzialmente pubblica, e localizzata dov'era, proprio per dare lavoro ad una città economicamente depressa.
Ed effettivamente per un paio di secoli il Veneto è stata una delle zone più povere d'Italia. La pellagra era diffusa, l'emigrazione consistente. Tutte le famiglie ricche del sud avevano donne di servizio provenienti dal Veneto.
Eppure non mi è mai venuta in mente l'idea che i Veneti fossero geneticamente diversi dagli altri, ottusi o sfaticati, incapaci di essere protagonisti della storia. Se così fosse stato, la repubblica di Venezia non sarebbe mai diventata una delle grandi potenze d'Europa, dominando per secoli i commerci del mediterraneo.
Purtroppo la scoperta dell'America ha spostato al nord Europa il baricentro dei commerci e degli affari, determinando il lento declino di Venezia e del suo entroterra.
Nessuno, che avesse conosciuto il Veneto nel primo dopoguerra, avrebbe immaginato il riscatto economico che questa terra ha avuto nel giro di 50 anni, trasformando lande miserabili in uno dei territori più industrializzati d'Europa.
Splendori e cadute sono frequenti nella storia delle nazioni. Pensiamo al mondo arabo tra il settimo ed il decimo secolo, dalla civiltà immensamente superiore a quella dell'Europa, dove i nobili, costantemente analfabeti, vivevano immersi nei pidocchi.
Oppure all'impero cinese, per millenni avanti a tutti, e che improvvisamente decade, scivolando in due secoli di miseria ed arretratezza.
Non esistono popolazioni geneticamente predisposte alla miseria. I geni non contano nulla. Ciò che davvero conta è la cultura che, a sua volta, dipende dalla storia e dalla geografia.
La cultura si forma per rispondere alle esigenze di un determinato contesto che, il più delle volte, non dipende dalle scelte della popolazione stessa, ma da cause esterne. Il clima, la posizione geografica, le risorse del territorio, le invasioni, i giochi e gli interessi geopolitici.
Se esistono culture diverse è perchè popolazioni diverse hanno vissuto per secoli vicende diverse in territori diversi.
Ne consegue che parlare di superiorità di una cultura rispetto ad un'altra non ha senso. Ognuna risponde alle esigenze di contesti diversi. Così come è semplicistico credere che le stratificazioni culturali si adattino rapidamente alle mutate condizioni di contorno. Spesso i tempi dell'economia e della politica sono più rapidi di quelli necessari perchè la cultura si adatti a questi nuovi contesti.
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Nella lunga storia del sud Italia, dai Normanni ai Borbone, non è mai accaduto che il regno muovesse guerra ad altri regni. Il sud non è mai stato conquistatore, ma sempre conquistato. E questo innanzitutto per l'assenza dello spirito guerriero tipico di una popolazione profondamente epicurea, paga di se stessa, in in clima mite dalla dieta ricca di frutti di ogni specie.
Spirito molto sviluppato in quelle popolazioni il cui territorio offre pochi piaceri e poche risorse.
Se gli inglesi hanno conquistato mezzo mondo è perché avevano necessità di trovare risorse al di fuori del proprio territorio, e mercati per le loro produzioni industriali. Il tutto sostenuto dall'etica protestante e dallo spirito capitalistico.
Ora occorre capire se sia più apprezzabile un popolo che sottomette altri popoli e li schiavizza, oppure un popolo che non pretendere di rompere i Koglioni a nessuno?
Credo che sia questo il discrimine tra due visioni molto diverse tra loro. I meridionali, egregi signori, non avrebbero mai fatto ciò che hanno fatto i civilissimi tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Hanno distrutto l'Europa ed il loro stesso paese, ubbidienti al Dio stato ed alle leggi.
Il meridionale, piuttosto che andare in guerra, preferisce godere dei piaceri della vita. Piuttosto che maneggiare carri armati preferisce filosofeggiare. Piuttosto che ammazzare poveri innocenti che vorrebbero solo stare in pace a casa loro, preferisce guardare il mare e goderne il profumo.
E' questa l'inciviltà? E' questa l'arretratezza?
Ebbene, sono orgoglioso di non essere civile come gli inglesi o come i tedeschi. Sono orgoglioso di appartenere ad un popolo che non ubbidisce ciecamente alle leggi ed allo stato. Sono orgoglioso di appartenere ad una cultura che considera lo stato per ciò che è, una raffinata struttura criminale il cui scopo è quello di consentire a pochi di vivere sulle spalle dei molti.
Ma sopratutto, sono stufo di essere considerato un parassita che vive sulle spalle degli altri, soggetto a leggi che non abbiamo deciso, ad uno stato che non è il nostro, e regole buone per altri popoli ed imposte alla nostra civiltà senza il nostro consenso.
Abbiamo vissuto benissimo per 2000 anni, senza che nessuno dovesse provvedere a mantenerci. Potremmo farlo ancora, e, se permettete, sarebbe auspicabile.